

Voci della Memoria
a cura di Raffaella Calandra e Maria Luisa Colledani, in collaborazione con l’Associazione Figli della Shoah
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“Quando sono entrata in Senato, ho pensato alla bambina, quando fu espulsa dalla scuola nel 1938”. Porta sulla sua pelle e nei palazzi delle Istituzioni le cicatrici del secolo breve, Liliana Segre, figlia di una ricca famiglia ebrea, laica. Cacciata dal suo mondo, trovò solo finestre chiuse a Milano, mentre prima le leggi razziali, poi la furia nazista costrinsero lei e l'amato padre a tentare- invano- la fuga in Svizzera. Furono arrestati e il 30 gennaio 1944 deportati, dal binario 21 della stazione centrale. Sulla banchina di Auschwitz-Birkenau, si salutarono per sempre.
Solo 22 dei 605 del loro convoglio fecero ritorno dopo la prigionia, le selezioni, il lavoro nella fabbrica delle munizioni, dopo le marce della morte. E dopo i mesi della tregua, con gli americani. All'arrivo nella Milano della ricostruzione, non c'è spazio per i ricordi di una sopravvissuta, che smette di essere triste- confida nel 2018 a Maria Piera Ceci - dopo aver incontrato l'amore. Il marito, i figli e poi i nipoti le spalancano un nuovo mondo di affetti, in cui alla fine riesce anche a parlare dell'abisso di Auschwitz. Per 30 anni, Liliana Segre incontra soprattutto migliaia di ragazzi, a cui affida la sua testimonianza e la sua lotta contro l'indifferenza. “Io sono stata profuga sui monti; ho chiesto asilo politico e so cosa voglia dire essere espulsa”. Nominata senatrice a vita nel 2018, a 90 anni è costretta alla scorta dopo minacce e insulti. Ora c'è anche una stella, come quella che la aiutò a superare le notti ad Auschwitz, che porta il nome di Liliana Segre. Per brillare per sempre, contro l'indifferenza del mondo
A seguire
Goti Bauer, nata nel 1924 in quella che allora era Cecoslovacchia, cresce a Fiume. Il varo delle leggi razziali nel 1938 sconvolge la vita di questa famiglia ebrea: Goti e il fratello Tiberio espulsi dalle scuole, papà Luigi obbligato a chiudere il negozio. Tutto precipita l'8 settembre 1943 quando i nazisti annettono Fiume. La famiglia cerca rifugio in Svizzera ma viene tradita. Poi, il viaggio verso Auschwitz-Birkenau e i drammatici mesi al campo di sterminio. Goti è una ragazza coraggiosa, resiste, anche grazie a tutte le lingue che sa parlare. Il 9 maggio 1945 è di nuovo libera e torna a Fiume ma tutto è perduto e scopre che anche il fratello è stato ucciso. Si sposerà, avrà due figlie e da 30 anni è testimone infaticabile della più grande tragedia del Novecento. In collaborazione con l'associazione Figli della Shoah.
Episodi precedenti
Davanti ai loro occhi hanno visto l'inferno del genocidio, sono riusciti a tornare dai campi di sterminio e oggi ci raccontano quel male feroce perché non si ripeta mai più. I sopravvissuti della Shoah hanno voci potenti e preziose, da ascoltare e su cui meditare. A futura memoria.
Un bimbo ebreo nella Amsterdam della Seconda guerra mondiale: i suoi genitori sono deportati e uccisi ad Auschwitz, lui rimane orfano ma la resistenza olandese lo protegge. Vive di stenti, chiuso in armadi-letti, passa da una famiglia a un'altra. Poi, finalmente l'Olanda viene liberata e Salo affidato agli zii Louis e Ju ma a scuola fatica, le notti sono baratri neri senza fondo. Trova la sua strada come fisioterapista del grande Ajax di Johan Cruijff e ora lotta per tutte le vittime ebree: ha ottenuto che le Ferrovie Olandesi diano un risarcimento ai sopravvissuti e ai loro eredi. Ha scritto ad Angela Merkel perché le Ferrovie Tedesche facciano lo stesso. La sua partita più importante è appena iniziata. (Podcast realizzato in collaborazione con Associazione Figli della Shoah)
“Quando Dio mi chiederà cos'ho fatto in tutta la vita, risponderò: io ho ricordato”. Ogni giorno, ci sono stati un numero sul braccio, dei buchi sulle gambe, ma anche un mattone e un profumo a riportare Nedo Fiano al dovere della memoria. Figlio di ebrei della media borghesia fiorentina, con un padre fervente sostenitore del Duce, fu deportato con tutta la famiglia ad Auschwitz, dopo l'armistizio. Unico a sopravvivere, “perché avevo 18 anni, parlavo tedesco e sapevo cantare”, racconta in un'intervista ad Alessandro Milan nel 2008. A salvarlo, a Buchenwald, fu un soldato americano, che profumava di un sapone all'arancia. Un odore, che ha continuato a volere con sé. Come il mattone del forno crematorio 2, dove fu uccisa la mamma. Nella vita del dopo, fu la Milano industriale ad offrirgli una nuova occasione, insieme a moglie e figli. Dopo anni di silenzi, Nedo decide di aprire la valigia dei ricordi, davanti a ripetuti episodi di negazionismo e antisemitismo. Si è spento nell'anno della pandemia a 95 anni, lasciando a più generazioni il messaggio imparato nei lager: “è nell'ora più buia della notte, che l'alba è più vicina.