Riproduci
Elena è appena tornata dal confino quando arriva il 16 ottobre. È un carattere particolare, viene chiamata la matta di Piazza Giudia, ma pazza non lo è affatto. È una femminista ante litteram che non vuole farsi mettere i piedi in testa e, da ragazza, per il carattere ribelle viene rinchiusa più volte a Santa Maria della Pietà, l’ospedale psichiatrico di Roma. È un’antifascista convinta che lotta contro i soprusi. Per questo all’entrata in guerra viene mandata al confino prima in Basilicata, poi nelle Marche, ma con la caduta del fascismo torna a Roma e può riabbracciare i suoi figli. L’alba terribile del 16 ottobre 1943 vede la cognata Annita che viene separata dai tre figli e portata via: Elena compie così un gesto istintivo che le costerà carissimo. A raccontare la sua storia, il nipote di Elena, Marco Di Porto e il ricercatore Gaetano Petraglia, autore del libro “La matta di Piazza Giudia”, edito da Giuntina.
A seguire
Emanuele è un bambino di 12 anni quando dalla finestra di casa in via della Reginella, nell’antico quartiere ebraico, vede che i nazisti stanno portando via sui camion la madre, Virginia Piazza, in piazza delle Tartarughe. Emanuele abita ancora lì quando lo andiamo a trovare e ci indica i luoghi dove hanno preso la madre, dove abitava la spia Celeste Di Porto, di come è sceso per cercare di salvare la madre, ma il tentativo è stato vano, mentre sarà Virginia a salvare il figlio. Emanuele si ritroverà solo per strada e salterà su un tram dove verrà nascosto dai tramvieri di Roma. Tornato a casa, dovrà cavarsela e mantenere la famiglia nei nove lunghi mesi di Roma città aperta. A corredare la sua intervista, Claudio Procaccia, direttore Beni e attività culturali della comunità ebraica di Roma, che ci illustra le tappe del piano nazista: dal ricatto dell’oro alla razzia.