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La storia di Settimia Spizzichino è eccezionale. Catturata il 16 ottobre, Settimia è l’unica donna a tornare da Auschwitz - Birkenau. Ha 22 anni quando viene presa dai tedeschi insieme a sua madre e alle sue sorelle. Nel campo di sterminio sopravvive anche agli esperimenti di Josef Mengele con un unico scopo: tornare per raccontare. All’evacuazione del campo, Settimia si trova costretta anche alla marcia della morte con destinazione Bergen Belsen. La liberazione arriva nel giorno del suo compleanno, il 15 aprile, e Settimia può tornare a casa. Ma sono molte le persone che non ce l’hanno fatta. Alcuni film, tra cui “La Razzia” di Ruggero Gabbai e “Nata due volte” di Giandomenico Curi contengono la testimonianza di Settimia, scomparsa nel 2000. A raccontarci la sua storia è la nipote, Miriam Spizzichino, che porta avanti la testimonianza della prozia. Per il quadro d’insieme su cosa è accaduto al collegio romano e sul silenzio di Papa Pio XII, le parole dello storico David Kertzer, autore di “Un papa in guerra” e di altri libri relativi a quel periodo.
Episodi precedenti
Elena è appena tornata dal confino quando arriva il 16 ottobre. È un carattere particolare, viene chiamata la matta di Piazza Giudia, ma pazza non lo è affatto. È una femminista ante litteram che non vuole farsi mettere i piedi in testa e, da ragazza, per il carattere ribelle viene rinchiusa più volte a Santa Maria della Pietà, l’ospedale psichiatrico di Roma. È un’antifascista convinta che lotta contro i soprusi. Per questo all’entrata in guerra viene mandata al confino prima in Basilicata, poi nelle Marche, ma con la caduta del fascismo torna a Roma e può riabbracciare i suoi figli. L’alba terribile del 16 ottobre 1943 vede la cognata Annita che viene separata dai tre figli e portata via: Elena compie così un gesto istintivo che le costerà carissimo. A raccontare la sua storia, il nipote di Elena, Marco Di Porto e il ricercatore Gaetano Petraglia, autore del libro “La matta di Piazza Giudia”, edito da Giuntina.
Emanuele è un bambino di 12 anni quando dalla finestra di casa in via della Reginella, nell’antico quartiere ebraico, vede che i nazisti stanno portando via sui camion la madre, Virginia Piazza, in piazza delle Tartarughe. Emanuele abita ancora lì quando lo andiamo a trovare e ci indica i luoghi dove hanno preso la madre, dove abitava la spia Celeste Di Porto, di come è sceso per cercare di salvare la madre, ma il tentativo è stato vano, mentre sarà Virginia a salvare il figlio. Emanuele si ritroverà solo per strada e salterà su un tram dove verrà nascosto dai tramvieri di Roma. Tornato a casa, dovrà cavarsela e mantenere la famiglia nei nove lunghi mesi di Roma città aperta. A corredare la sua intervista, Claudio Procaccia, direttore Beni e attività culturali della comunità ebraica di Roma, che ci illustra le tappe del piano nazista: dal ricatto dell’oro alla razzia.
Lia Levi ha 12 anni quando la madre la rinchiude in un convento insieme alle sorelle perché non si fida dei tedeschi dopo il ricatto dell’oro. La mattina del 16 ottobre 1943 sua madre la raggiunge e lei la vede piangere. Lia non potrà mai dimenticare quella scena, anche da adulta, e dedicherà la sua vita a scrivere romanzi sul terribile giorno. I mesi dell’occupazione li passa tra paura e speranza in convento dove continuano ad arrivare altre bambine ebree che cercano di sfuggire alla deportazione. Lia deve imparare le preghiere cattoliche e adotta un nome falso. A raccontarci la sua storia, la stessa Lia Levi, Ariela Piattelli, direttrice di Shalom, il magazine della comunità ebraica di Roma, e un altro bambino, Attilio Lattes, in questo episodio che ha al centro lo sguardo dei bambini e delle bambine del Ghetto.
Augusto Capon è un eroe della Prima guerra mondiale con croce al merito. Ha combattuto anche la guerra di Libia, ammiraglio e poi capo del servizio informazioni della Marina. Ebreo veneziano, si trasferisce a Roma con tutta la famiglia e ha quattro figli, tra i quali Laura che sposa il fisico Enrico Fermi. Il 1938 arriva e, malgrado i meriti di guerra, Capon viene colpito dalle leggi razziali, come tutti gli ebrei che sono militari nell’esercito, e costretto al congedo forzato. Non abbandona la fede in Mussolini malgrado tutto e, anche quando viene avvertito della possibile retata, si fa trovare nel suo villino del quartiere borghese di via Nomentana in alta divisa da ufficiale. Quella villa è lo stesso luogo dove incontriamo il nipote Giorgio Capon che ci racconta la storia della sua famiglia. A corredare l’intervista, il racconto del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, su come la deportazione del 16 ottobre si incrocia con i ragazzi di via Panisperna, i fisici guidati da Enrico Fermi.